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lunedì 25 gennaio 2010

UN AUTORE LA CUI LIBERALITA' E' POCO CONOSCIUTA

Di liberali Italiani che hanno fama internazionale non abbondiamo a parte il nostro Bruno Leoni.
Ma a saperlo ben leggere ci si accorge che Vilfredo Pareto nato e vissuto a cavallo dell'ottocento e novecento mostra scorci di pensiero liberale interessanti e degni di rivalutazione postuma.
Con piacere riporto qui alcune pagine Paretiane che erano sfuggite alle Letture Liberali da noi affrontate tra il 2008 e il 2009 e che forse valeva la pena non avessimo tralasciato (Riccardo Rinaldi).

“Le diverse classi economiche hanno degli interessi diversi. Ciò risulta dalla natura stessa delle cose. E’ ben evidente che un semplice operaio non ha gli stessi interessi economici di un grande proprietario terriero o del possessore d’un grande patrimonio mobiliare. In fatto di imposte ogni classe cerca di riversarne quanto più possibile il peso sulle altre. In fatto di spese pubbliche ogni classe cerca che sieno effettuate a proprio favore.
I socialisti hanno dunque interamente ragione nell’attribuire una grande importanza alla lotta delle classi e di affermare che è questo il gran fatto che domina la storia. Da tal punto di vista le opere di K. Marx e del Loria sono degne della più grande attenzione.
La lotta delle classi assume due forme note in tutti i tempi. L’una non è altro che la concorrenza economica. Abbiamo visto che quando è libera, questa concorrenza produce il massimo di ofelimità. Ogni classe, come ogni individuo, pur non avendo di mira che il proprio vantaggio, viene indirettamente ad essere utile alle altre. Ancor più. Poiché non distrugge, ma produce ricchezza, questa concorrenza contribuisce indirettamente a fare aumentare il livello del reddito minimo e a diminuire la disuguaglianza dei redditi.
L’altra forma della lotta delle classi è quella, per cui ogni classe si sforza d’impossessarsi del governo per farne una macchina con cui spogliare le altre. La lotta che intraprendono certi individui per appropriarsi la ricchezza prodotta da altri è il gran fatto che domina tutta la storia dell’umanità. Si cela e si asconde con i pretesti più vari, che hanno spesso tratto in inganno gli storici. Si può perfino dire che è soltanto nella nostra epoca che la verità è affiorata.
La classe dominante non si limita semplicemente a recare un danno diretto alle classi ch’essa spoglia; reca danno pure a tutta quanta la nazione: poiché la spogliazione è di solito accompagnata da una distribuzione di ricchezza, spesso assai considerevole, il reddito minimo deve abbassarsi e la disuguaglianza dei redditi deve aumentare.
Dal punto di vista, poco importa che la classe dominante sia una oligarchia o una plutocrazia o una democrazia. Si può dire soltanto che, sebbene vi sieno delle eccezioni, quanto più questa classe è numerosa, tanto più intensi sono i mali che risultano dalla sua dominazione, perché una classe numerosa consuma una quantità di ricchezza maggiore di quella che consuma una classe più circoscritta. E’ questa probabilmente la causa che fa sì che il regime demagogico abbia sempre avuto una durata ben minore dei regimi tirannici ed oligarchici. Sarà questo probabilmente pure il grande ostacolo che si opporrà all’instaurazione del socialismo del popolo. Il socialismo borghese, che si esplica per mezzo della protezione doganale, dei premi di esportazione e della falsificazione della moneta, ecc. ha, a proprio favore, la circostanza che ha un minor numero di aderenti da soddisfare. Ha dunque modo di arricchirli senza distruggere interamente la ricchezza del paese.
Parecchi autori confondono due questioni assolutamente diverse: quella della esistenza d’una classe dominante e quella del modo con cui se ne reclutano i membri. A questi autori pare che, quando la classe dominata ha il diritto di scegliere secondo un certo modo di elezione i suoi padroni, non ha più nulla da desiderare e deve reputarsi perfettamente felice e fortunata. Non passa loro in mente che sarebbe forse più utile evitare qualsiasi spogliazione anziché limitarsi a determinare a profitto di chi la spogliazione dovrà essere esercitata.
E’ certo che, quando i membri della classe dominante sono reclutati per eredità o per cooptazione, il giogo ch’essa esercita è più odioso di quanto accada quando i membri sono reclutati per elezione, ma non ne segue affatto che tale giogo risulti anche più grave. Non è dimostrato per nulla che un governo oligarchico avrebbe potuto essere più disonesto di quanto lo fu la municipalità di New York eletta col suffragio universale. Il popolo della Toscana era più felice e meno spogliato sotto il governo assoluto di Pietro Leopoldo di quanto lo sia ora sotto l’attuale governo costituzionale. Nella nostra epoca le elezioni hanno, nella maggior parte dei paesi, una parte più o meno preponderante nella scelta della classe governante, ma non è questo un fatto nuovo nella storia. A Roma, verso la fine della repubblica, erano ben le elezioni che attribuivano il potere, ma le scelte che venivano così effettuate eran tanto deplorevoli, l’oppressione così grande, che ai più il dispotismo militare apparve un male minore e che, in un certo senso, Cesare e Augusto furono effettivamente dei benefattori della classe dominata. Non intendiamo già decidere con ciò quale sia la forma di governo che debba essere preferita, chè quella stessa forma di governo, che, in un dato istante, risulta inferiore ad un’altra, può contenere in sé dei germi di riforma, che verranno a renderla superiore in avvenire; quanto vogliamo affermare è che la forma non deve aver la prevalenza sulla sostanza e che, mutando i nomi con cui si decora la spogliazione, non si muta per nulla la quantità di ricchezza ch’essa distrugge.
Qualsiasi uomo può avvertire i mali della società in cui vive, ma solo ricerche scientifiche, spesso estremamente difficili, possono rivelarcene le vere cause. Gli uomini che le ignorano se ne foggiano spesso delle immaginarie. Sono soprattutto portati, in modo quasi invincibile, a semplificare enormemente il problema per evitare la fatica di uno studio sintetico. E’ ad un uomo, ad una legge, ad una istituzione ch’essi attribuiranno esclusivamente tutti i mali che sarà loro dato di osservare nella società. Sistemi tanto esclusivi quanto erronei attraggono di volta in volta il favore del pubblico. Non è remoto il tempo in cui il regime costituzionale era considerato come una panacea universale; ai nostri giorni parecchi autori ne han fatto il capro espiatorio di tutti i peccati degli uomini politici. All’inizio di questo secolo si diceva che l’istruzione elementare era il solo mezzo di rendere morale il popolo; vi è ora chi pretende che tale istruzione abbia fatto aumentare il numero dei delinquenti. Discussioni di tal genere sono necessariamente infeconde. Fino a che ci si ostinerà a cercare una causa unica per spiegare fenomeni estremamente complessi e svariati, è certo che si seguirà una via sbagliata. Il progresso scientifico è indissolubilmente legato a una concezione sintetica dei fenomeni sociali e della loro mutua dipendenza.
Poiché le classi ricche hanno molto spesso spogliato le classi povere si è voluto concluderne che il possesso dei capitali mobiliari e dei capitali fondiari costituisce la causa della spogliazione e che solo il collettivismo potrebbe recar rimedio ai mali della società.
In simili ragionamenti vi è un errore radicale, che già abbiamo avuto spesso occasione di notare. Sta nell’attribuire al capitale o alla ricchezza (il risparmio) degli effetti, a cui tali cose sono estranee. Non è già il semplice possesso del risparmio che pone certi uomini in grado di spogliarne altri; è l’uso ch’essi fanno di tale risparmio, valendosene, ad esempio, per rendersi amici i poteri pubblici, in luogo di trasformarlo in capitale nel senso economico dell’espressione. Ben lungi dal discorrere dell’oppressione del capitale, si deve quindi riconoscere che è precisamente quando non si trasforma in capitale che il risparmio può essere usato in modo nocivo per la società.
La ricchezza, al pari del fine a cui mira la spogliazione, è certo un mezzo che consente di esercitare la spogliazione stessa. Ma ciò non potrebbe bastare a condannare l’appropriazione dei beni economici, chè, altrimenti, dal fatto che il ferro serve agli assassini ed ai ladri, si dovrebbe concludere che questo metallo è nocivo alla razza umana e perché le navi servono ai pirati si dovrebbe rinunciare alla navigazione. Del resto, la potenza degli spogliatori non è basata soltanto sulla ricchezza (risparmio); essi si valgono di ben altri mezzi e fanno abilmente ricorso alle cose più rispettabili e più utili, di per sé, all’umanità. Poiché il mantenimento dell’ordine e della sicurezza costituisce il bisogno più urgente delle società, gli spogliatori se ne sono valsi, e se ne valgono, correntemente di pretesto per assicurare il successo delle loro operazioni. Si è pure tentato di porre la spogliazione sotto la sanzione della religione e della morale. Agli occhi della classe dominante, le azioni più abominevoli sono quelle che possono scuotere il suo potere ed essa perviene talvolta a far condividere tale idea dagli stessi sudditi suoi dominati. Dopo la morale, la cosa più indispensabile agli uomini è la giustizia; la classe dominante ha pure sempre tentato di farla servire ai suoi fini. La sola idea di magistrati assolutamente indipendenti le ripugna: istintivamente avverte che li deve asservire per porre su di una solida base il potere che detiene. E’ questo, in fondo il vero motivo del movimento che si manifesta ora contro la giuria. Non già che questa istituzione non abbia pure dei sinceri avversari, che la giudicano unicamente dal punto di vista oggettivo, ma costoro non riflettono a sufficienza che essa costituisce ancora la sola istituzione che, nonostante i suoi difetti, dia agli accusati, che non sono in buoni rapporti con la classe dominante, qualche probabilità di cavarsela. E’ questo, precisamente, il motivo dell’avversione che gli uomini politici hanno per la giuria: il motivo, che li induce ad avversarla, non differisce per nulla da quello che induceva i cavalieri romani ad impadronirsi del potere giudiziario. Persone onestissime si lasciano convincere dagli ingegnosi pretesti, che in questi casi non mancano mai e, tratti in inganno dal falso principio che il fine giustifica i mezzi, credono di servire la causa dell’ordine e della giustizia, mentre a tale causa apportano i colpi più rudi.
L’abuso, che si fa di cose di per sé perfettamente rispettabili ed eminentemente utili, genera dottrine erronee, che, al fine di evitare l’abuso, vogliono eliminare l’uso. Il comunismo, il collettivismo, il protezionismo, il socialismo di Stato o della cattedra, il socialismo borghese (nei limiti in cui è in buona fede), le teorie neo-aristocratiche di Nietzsche, l’antisemitismo, il nichilismo, l’anarchia sono propaggini di un medesimo seme: procedono direttamente da un’osservazione incompleta delle leggi della scienza sociale e spesso anche dalla passione che prende il posto della ragione.
In tutti i tempi gli uomini hanno attribuito i loro mali, purtroppo più che reali, a cause immaginarie. Nell’antica Roma è spesso risuonato il grido : -i cristiani alle belve- Nelle città del medio evo si è spesso sentito gridare –morte ai lombardi- Ora si vorrebbe ripetere –abbasso gli ebrei- Si tratta di rivolte incoscienti, che non hanno maggior ragione d’essere dell’atto del bambino che colpisce l’oggetto inanimato contro cui è andato a sbattere. Ad un grado intellettualmente un po’ più elevato, questi sentimenti di disagio e di odio nei confronti di certi abusi, si manifestano sotto forma di sistemi e di teorie. I proprietari di beni fondiari, impadroniti che si furono dello Stato, hanno fatto pesare sui loro connazionali un giogo gravoso. Si deve abolire la proprietà fondiaria e rendere comuni le terre. Certi proprietari di risparmio, in luogo di trasformarlo in capitale, se ne sono valsi per opprimere il paese. Si deve abolire la proprietà del risparmio. Degli imprenditori, in luogo di ricercare, secondo quella che è la funzione loro propria, i metodi migliori di produzione, si son fatti accordare dai poteri pubblici dei privilegi. Si debbono abolire gli imprenditori e alla sola collettività va consentito il possesso dei mezzi di produzione, dei capitali fondiari cioè e dei capitali mobiliari. I socialisti si fermano a questo punto, ma, come fa loro assai bene osservare Pietro Krapotkin, non sono logici; gli anarchici, che non si vogliono fermare a mezza strada, continuano imperturbabilmente a dedurre le conseguenze che discendono dalle premesse di cui i collettivisti si sono valsi. –Dal giorno- essi dicono –in cui si colpirà la proprietà privata in una o l’altra delle sue forme, fondiaria o industriale, si sarà costretti a colpirla pure in tutte le sue altre forme-. Poiché l’organizzazione della giustizia è servita a coprire dei misfatti, dobbiamo abolirla del tutto. Famiglia, governo, morale, tutto dev’essere eliminato per gli interessi motivi. A loro volta, però, gli anarchici sono ben costretti, essi pure, ad arrestarsi ad un certo punto, chè, se si volesse spingere questa singolare teoria fino alle sue ultime conseguenze, bisognerebbe lasciarsi morir di fame, poiché, se se ne abusa, gli stessi alimenti possono generare ogni specie di malanni.
Spesso una teoria esagerata in un senso ne fa sorgere un’altra, esagerata in senso opposto. Certi socialisti predicando l’uguaglianza assoluta, fisica e intellettuale, degli uomini, giungono al punto di voler irretire in lavori manuali senza importanza, e che non presentano alcuna difficoltà, le facoltà eccezionalmente rare e preziose dei maggiori scienziati. I neo-aristocratici, senza star molto a lambiccarsi il cervello, hanno enunciato semplicemente una dottrina esattamente contraria a quella dei socialisti. A loro dire, l’umanità intera non esiste che per produrre alcuni uomini superiori; non è che un letamaio sul quale crescono alcuni fiori.
Ciascuna di tali sette ha, naturalmente, un qualche sistema economico da propugnare. Sistema, che non ha con la realtà altri rapporti fuor di quelli che si riscontrano nei sistemi cosmogonici degli antichi.
A quest’analisi assolutamente incompleta la scienza sostituisce uno studio ampio e comprensivo, che non si limita allo studio qualitativo dei fatti, ma assurge allo studio quantitativo. A delle astrazioni senza fondamento essa sostituisce delle realtà ed elimina vaghe aspirazioni senza consistenza sostituendo loro lo studio rigoroso dei rapporti necessari alle cose.
Al di sopra, ben al di sopra, dei pregiudizi e delle passioni dell’uomo planano le leggi della natura. Eterne, immutabili, sono l’espressione della potenza creatrice: rappresentano quel che è, quel che deve essere, quel che non potrebbe essere altrimenti. L’uomo può pervenire a conoscerle; non a mutarle. Dagli infinitamente grandi agli infinitamente piccoli, tutto vi è soggetto. I soli e i pianeti seguono le leggi scoperte dal genio di un Newton e di un Laplace, precisamente come gli atomi seguono, nelle loro combinazioni, le leggi della chimica e gli esseri viventi le leggi della biologia. E’ solo l’imperfezione dello spirito umano che moltiplica le divisioni delle scienze, che separa l’astronomia dalla fisica o dalla chimica, le scienze naturali dalle scienze sociali. Nella sua essenza, la scienza è una; non è altro che la verità.”

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